Inaugurazione
sabato 3 Dicembre ore 17.30
In mostra dal 5 Dicembre al 7 Gennaio
su prenotazione (Contatti)
Manuela Mazza: La seconda vista tra realtà e desiderio di astrazione
In un’epoca massicciamente invasa dalle immagini figurative, dai video, dalla televisione, dalla pubblicità, dal cinema, cosa significa un ritorno all’astrazione? L’esperienza astratta è da intendere come una realtà «altra», diversa da quella dell’esperienza quotidiana, informata da tutta la tradizione figurativa e realistica ma spinta oltre, come una proiezione di una necessità interiore? Lo storico dell’arte tedesco Wilhelm Worringer, in Astrazione e empatia (1908), pensa che nella preistoria le persone abbiano percepito la natura come un caos ostile, e che volendo approdare a una tranquillità interiore si rivolgessero all’astrazione come fosse un medium efficace per alleviare gli shock provocati dal caos del mondo. L’astrazione è primordiale nelle arti di molte culture, di diverse latitudini nel mondo, e nei primi due decenni del XX secolo dell’Occidente è stata riscoperta, più che inventata. Franz Mark la definisce “seconda vista”: “Ho sorpreso un pensiero solitario, posato come una farfalla nel cavo della mano; il pensiero che già molto tempo fa vissero uomini che possedevano la seconda vista e amavano l’astratto come noi.
Nei nostri musei etnici ci sono alcune cose silenziose che ci guardano con occhi familiari. Come furono possibili questi prodotti di una pura volontà di astrazione?”[1]. La seconda vista è la propensione all’approccio astratto, inteso come un ulteriore modo di vedere la realtà; è connessa con un sistema aperto, con un altro linguaggio, con un dialogo ad ampio raggio tra reale, immagini astratte e fenomeni visivi. Ciò che percepiamo del reale è nella maggior parte dei casi una metafora della struttura della nostra esistenza e alcune volte è un contatto con la dimensione visionaria o psichedelica. Questa primitiva volontà di astrazione è presente anche nel nostro tempo? Ancora oggi le persone quando vivono periodi difficili proiettano la seconda vista sul mondo, riattivando quel meccanismo già presente in epoca preistorica in ambito tribale? Secondo Worringer, nelle epoche primitive l’impulso di astrazione si innesca in periodi che causano grande inquietudine.
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Nel campo dell’arte, i primitivi misero in atto una traduzione formale astratta nelle epoche in cui il loro rapporto con i fenomeni del mondo non era empatico ma di timore e quando il loro atteggiamento psichico nei confronti del cosmo causava inquietudine. L’impulso di astrazione sarebbe quindi conseguenza di una inquietudine mentre l’estetica che si è affermata nella cultura occidentale si è sviluppata secondo i canoni dell’antichità greco-romana poi ripresi nel Rinascimento, ovvero dal bisogno di empatia con la realtà della vita organica, che avrebbe portato alla riproduzione di un fenomeno organicamente bello, verso il naturalismo nel suo senso più alto. La riproduzione artistica del mondo in forma figurativa seguendo certi canoni estetici celerebbe l’appagamento di una esigenza interiore o un fenomeno di autoattivazione del senso vitale legato al bisogno di empatia nel rapporto col mondo. Veramente la spinta verso l’astrazione era vissuta dai popoli primitivi come una via per andare oltre la realtà avversa? Scrive Worringer: “Turbati dall’intricato correlarsi e fluire dei fenomeni del mondo esterno, tali popoli erano dominati da un immenso bisogno di quiete. Il piacere che cercavano nell’arte non consisteva nella possibilità di proiettarsi negli oggetti del mondo esterno, e in questi godere di se stessi, bensì nell’isolare il singolo oggetto dalla sua arbitrarietà e apparente casualità, nell’immortalarlo accostandolo a forme astratte, e nel trovare quindi in tal modo un punto di quiete nella fuga dei fenomeni. […] Quando riuscivano nell’intento, provavano quella felicità, quella soddisfazione che in noi sono suscitate dalla bellezza della forma organica, vitale; poiché essi, poi, non ne conoscevano altra, possiamo definire questa la loro bellezza”[2]. Chissà se ha totalmente ragione lo storico tedesco a proposito di questa ipotesi, perché i reperti archeologici preistorici sembrerebbero invece documentare una coabitazione in uno stesso periodo di opere figurative con quelle astratte. In molte caverne preistoriche disegni astratti e geometrici fanno da contrappunto alle scene di caccia, dove uomini catturano o uccidono animali selvatici[3]. È molto probabile che le rappresentazioni di matrice astratta fossero già presenti nell’immaginario umano forse anche in parallelo con la visione realistica del mondo. Sempre nuovi ritrovamenti archeologici continuano a spostare le date, assegnando il primato della rappresentazione artistica prima a quella di stampo figurativo e poi a quella di matrice astratta e poi di nuovo a quella realistica e poi ancora a quella geometrica-astratta. Mi riferisco per esempio ai segni sul frammento di ocra trovato in un’antichissima caverna del Sudafrica, nel 2000. Almeno fino a oggi, è considerato il più antico artefatto umano senza evidenti scopi utilitari. Come mai un Homo sapiens di circa 75.000 anni fa ha tracciato una griglia a motivi triangolari o a losanghe su un pezzo di pietra terrosa e rossiccia? La propensione al pensiero astratto è già presente tra le prime intenzioni formative nella storia della specie umana. Non parrebbe avere una funzione pratica, ma simbolica: segna uno dei passaggi fondamentali dell’evoluzione umana. Secondo l’antropologa Ellen Dissanayake, questo manufatto di Blombos è una testimonianza della primigenia pulsione dell’Homo Sapiens rivolta verso qualcosa che non appartiene solamente alla realtà ordinaria. E se non è solo una propensione alla visione astratta è probabile che appartenga alla sfera delle figure magiche o sacrali, che è un’ulteriore proiezione immaginativa nell’alterità invisibile. Sembra verosimile allora che la propensione all’astrazione rappresenti una costante dello spirito umano. È probabile che i primitivi avessero messo in azione un astrattismo di conoscenza, per penetrare nell’invisibile spirituale. E in questo approccio v’è un collegamento diretto fra l’arte astratta primitiva e quella di inizio Novecento. Secondo la visione quantistica tutto è sempre collegato nelle tre declinazioni del tempo.
Torniamo a Worringer, stando al gioco, per cercare di comprendere i sottili meccanismi delle proiezioni astratte dei popoli primitivi: “[…] quanto meno l’umanità ha raggiunto, grazie alle proprie facoltà intellettuali, un rapporto di familiarità con i fenomeni del mondo esterno, tanto più forte è l’impulso che la fa aspirare a quella suprema bellezza astratta. Non è che l’uomo primitivo abbia ricercato più intensamente la conformità a leggi della natura o che l’abbia più intensamente sentita; al contrario, è proprio perché si sente così smarrito e spiritualmente indifeso di fronte agli oggetti del mondo esterno, proprio perché nel correlarsi e fluire dei fenomeni vede soltanto oscurità e arbitrio, che egli prova così forte l’impulso a spogliare quei fenomeni del loro arbitrio e della loro oscurità, per rivestirli di un valore di necessità e di rispondenza a leggi precise”[4].
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Worringer lascia intendere che la deriva astratta derivi da un sentimento di inquietudine causato dalla realtà stessa, e che l’artista, perso e indifeso di fronte alla crudeltà della natura, cerchi di astrarre per preservare la stabilità delle forme. Le fotografie di matrice astratta che Manuela Mazza ha realizzato durante il periodo di Covid-19, in un tempo che ha creato ansia e paura di soccombere, sono associabili a tutto quello che ho cercato di riassumere in questo testo? A prescindere che la spinta all’astrazione possa essere il prodotto di una grande inquietudine interna ispirata alle persone dai fenomeni del mondo esterno, quando Nino Migliori mi ha mostrato le fotografie di Manuela, ho ricondotto subito questa serie al meccanismo della seconda vista. Le luci e i colori accesi, dinamizzati attraverso il brusco movimento, trascendono i soggetti reali fotografati. La serie ha un carattere psichedelico, nonostante non ci fosse l’intento dell’autrice a spingere le riprese del reale verso queste dimensioni visionarie. La paura molto spesso vira allo psichedelismo inconscio[5]. Gli scatti spostano l’attimo privilegiato verso altre derive. Il gesto prende il sopravvento e scardina il reale. E in questo gesto si apre la questione che conduce lo sguardo e la percezione in direzione di una visionarietà non completamente voluta. La perdita del controllo mi sembra un aspetto interessante legato a queste fotografie nate in un periodo complesso. E che poi ogni fruitore possa leggere le immagini come proiezioni nella sfera astratta è una delle molte possibilità interpretative. Mi interessa di più riconoscere un potere di stampo “magico” in queste immagini, dove il termine “magico” è ripreso dal significato attribuito da Vilém Flusser nel suo saggio Per una filosofia della fotografia (2006).
Queste immagini sarebbero sicuramente interessate allo studioso Kurt Wehrberger, che le avrebbe ricondotte a visioni simili a quelle vissute da uno sciamano che cade in trance dopo aver assunto droghe naturali ricavate da piante o funghi, e nel suo viaggio psichedelico vede segni astratti e disegni geometrici, simboli che nelle epoche preistoriche sono stati poi riprodotti in luoghi di culto, incisi o dipinti sulle pietre dei luoghi sacri e nelle decorazioni tribali[6]. Attingiamo allora dal potere enigmatico di questa serie visionaria, leggendola anche come sequenza di immagini polisemiche, aperte a ulteriori altre connotazioni, che non mirano a riprodurre fedelmente la realtà ma cercano di esprimere idee e concetti che tendono alla dimensione astratta, a forme e a segni che in qualche modo trascendono anche la realtà quotidiana colpita da un virus pericoloso.
Mauro Zanchi |
[1] Brano tratto da un testo scritto mentre l’artista tedesco era al fronte durante la Prima guerra mondiale
[2] W. Worringer, Astrazione e empatia. Un contributo alla psicologia dello stile (1908), Torino 2008, p. 20.
[3] Recentemente è stato scoperto che pure i Neanderthal, già 65mila anni fa (e circa ventimila anni prima dell’arrivo dei Sapiens dall’Africa in Europa), hanno decorato pareti e stalattiti in almeno tre grotte spagnole, con linee geometriche color ocra e nero, oltre che con silhouette di animali, mani, clave. Sono stati scoperti oltre mille dipinti nelle tre grotte di La Pasiega, Maltravieso e Ardales.
[4] Op. cit., p. 21.
[5] È interessante riportare la testimonianza diretta di Manuela, volta a porre l’attenzione sul cambiamento da uno stato psichico a un altro, ovvero di un cambiamento dei colori negli scatti realizzati dopo il lockdown rispetto a quelli presenti nelle fotografie del periodo di forzato isolamento: “Nelle foto che sono state scattate dopo il lockdown non ho più ottenuto i medesimi colori, pur utilizzando sempre la stessa tecnica. Le foto risultano prive di rosso, di giallo e di blu, piattissime e caratterizzate da un indistinto color sabbia. Questo deriva da un inquinamento luminoso derivato dalle strade più illuminate e con più automobili in circolazione? O è spiegabile dal fatto che io non ho più bisogno di cercare di catturare i colori, così come, invece, sentivo la necessità in quei momenti grigi?”.
[6] “All’inizio della trance [lo sciamano] vede disegni geometrici e linee a zigzag, punti, meandri e altre cose simili. Nella seconda fase, tenta di interpretare queste forme come oggetti concreti e conosciuti. Nella terza fase della trance si raggiunge una specie di vortice o tunnel, alla cui fine c’è un mondo di allucinazioni. Una volta arrivati lì, ad esempio, si crede di poter volare oppure si entra nel ruolo di certi animali. Secondo la ricerca neuropsicologica, queste fasi sono comuni a tutti gli individui e dipendono dal nostro sistema nervoso” (Kurt Wehrberger, Die Rückkehr des Löwenmenschen, p. 145).
[2] W. Worringer, Astrazione e empatia. Un contributo alla psicologia dello stile (1908), Torino 2008, p. 20.
[3] Recentemente è stato scoperto che pure i Neanderthal, già 65mila anni fa (e circa ventimila anni prima dell’arrivo dei Sapiens dall’Africa in Europa), hanno decorato pareti e stalattiti in almeno tre grotte spagnole, con linee geometriche color ocra e nero, oltre che con silhouette di animali, mani, clave. Sono stati scoperti oltre mille dipinti nelle tre grotte di La Pasiega, Maltravieso e Ardales.
[4] Op. cit., p. 21.
[5] È interessante riportare la testimonianza diretta di Manuela, volta a porre l’attenzione sul cambiamento da uno stato psichico a un altro, ovvero di un cambiamento dei colori negli scatti realizzati dopo il lockdown rispetto a quelli presenti nelle fotografie del periodo di forzato isolamento: “Nelle foto che sono state scattate dopo il lockdown non ho più ottenuto i medesimi colori, pur utilizzando sempre la stessa tecnica. Le foto risultano prive di rosso, di giallo e di blu, piattissime e caratterizzate da un indistinto color sabbia. Questo deriva da un inquinamento luminoso derivato dalle strade più illuminate e con più automobili in circolazione? O è spiegabile dal fatto che io non ho più bisogno di cercare di catturare i colori, così come, invece, sentivo la necessità in quei momenti grigi?”.
[6] “All’inizio della trance [lo sciamano] vede disegni geometrici e linee a zigzag, punti, meandri e altre cose simili. Nella seconda fase, tenta di interpretare queste forme come oggetti concreti e conosciuti. Nella terza fase della trance si raggiunge una specie di vortice o tunnel, alla cui fine c’è un mondo di allucinazioni. Una volta arrivati lì, ad esempio, si crede di poter volare oppure si entra nel ruolo di certi animali. Secondo la ricerca neuropsicologica, queste fasi sono comuni a tutti gli individui e dipendono dal nostro sistema nervoso” (Kurt Wehrberger, Die Rückkehr des Löwenmenschen, p. 145).
BIOGRAFIA
Manuela Mazza è nata a Bologna nel 1963, dove vive e lavora.
Laureata in giurisprudenza, da sempre appassionata di fotografia, passione sostenuta e condivisa con gli zii. A soli tredici anni inizia ad esporre e vince i primi concorsi fotografici.
Negli ultimi anni espone i suoi progetti fotografici in diverse mostre, anche personali. Nel 2018 partecipa al circuito Art City promosso da Artefiera Bologna.
Manuela Mazza è nata a Bologna nel 1963, dove vive e lavora.
Laureata in giurisprudenza, da sempre appassionata di fotografia, passione sostenuta e condivisa con gli zii. A soli tredici anni inizia ad esporre e vince i primi concorsi fotografici.
Negli ultimi anni espone i suoi progetti fotografici in diverse mostre, anche personali. Nel 2018 partecipa al circuito Art City promosso da Artefiera Bologna.
Esposizioni
2017 Segni di vita, Galleria d’Arte del Caminetto, Bologna
2018 La danza delle Gru, Galleria Fotografica Paoletti, Bologna
2018 Vergato Arte – Nona Edizione, Palazzo Comunale di Vergato, Vergato (Bo)
2018 Imago Fidei, Basilica di San Petronio, Bologna
(circuito Art City promosso da Artefiera)
2019 Lega menti, Galleria Fotografica Paoletti, Bologna
2022 Covigrafia, Galleria Green Whale Space, Bologna
2017 Segni di vita, Galleria d’Arte del Caminetto, Bologna
2018 La danza delle Gru, Galleria Fotografica Paoletti, Bologna
2018 Vergato Arte – Nona Edizione, Palazzo Comunale di Vergato, Vergato (Bo)
2018 Imago Fidei, Basilica di San Petronio, Bologna
(circuito Art City promosso da Artefiera)
2019 Lega menti, Galleria Fotografica Paoletti, Bologna
2022 Covigrafia, Galleria Green Whale Space, Bologna
Pubblicazioni
2018 La danza delle gru, Quinlan Editori, San Severino Marche (MC);
2018 Vergato Arte 2018 nona edizione Comune di Vergato – Vergato Arte e Cultura – Unione dei comuni dell’appennino bolognese;
2018 Lega menti, Bologna;
2020 Covigrafia, Quinlan Editori, San Severino Marche (MC);
2018 La danza delle gru, Quinlan Editori, San Severino Marche (MC);
2018 Vergato Arte 2018 nona edizione Comune di Vergato – Vergato Arte e Cultura – Unione dei comuni dell’appennino bolognese;
2018 Lega menti, Bologna;
2020 Covigrafia, Quinlan Editori, San Severino Marche (MC);